Ancelotti alla guida del Brasile: tra politica e tensioni storiche, ecco cosa comporterà per Carlo dirigere la Seleção
Oggi, con Carlo Ancelotti chiamato a guidare una nazionale attualmente solo quarta nelle qualificazioni mondiali, riemergono fantasmi del passato
Carlo Ancelotti è stato ufficialmente designato come nuovo commissario tecnico della nazionale brasiliana maschile. Ma dietro il suo arrivo non si nasconde solo una scelta sportiva: la sua nomina è anche il riflesso di dinamiche politiche interne alla CBF (Confederação Brasileira de Futebol), in particolare della posizione precaria del presidente Ednaldo Rodrigues. Il dirigente, riconfermato alla guida della federazione fino al 2030, è attualmente coinvolto in procedimenti giudiziari e vede in Ancelotti un’ultima ancora di salvezza per rafforzare la sua legittimità e placare le critiche alla sua gestione.

Ancelotti, allenatore del Brasile. Ecco cosa significa culturalmente allenare la nazionale verdeoro
Una scelta contestata e la lunga attesa, ma adesso Ancelotti ha una missione importante
Dal punto di vista tecnico, l’ingaggio dell’ex allenatore del Real Madrid, tre volte vincitore della Champions League con il club spagnolo, è giustificabile. Il modo in cui si è giunti alla sua nomina rivela una certa disorganizzazione. Dopo aver ricevuto un primo rifiuto nel 2024, la CBF ha continuato a insistere, affidando nel frattempo la panchina in modo provvisorio prima a Fernando Diniz, poi a Dorival Júnior. Una gestione definita da molti improvvisata, specie considerando il peso economico dell’ente, che supera il miliardo di reais l’anno.
L’approdo di un allenatore straniero sulla panchina della Seleção ha risvegliato una vecchia diffidenza, radicata nella storia del calcio brasiliano. Diversi tecnici locali, alcuni dei quali avevano ambizioni di guidare la nazionale, hanno criticato la scelta della CBF, sostenendo che solo un brasiliano possa davvero comprendere e incarnare lo spirito del calcio verdeoro. Un’opposizione che va oltre i meri interessi professionali, affondando le sue radici in un’idea di autenticità nazionale.
Una storia di esclusione e resistenze popolari
Questa riluttanza verso l’“elemento esterno” non è nuova. Fin dalle prime fasi di urbanizzazione del Brasile nel Novecento, con i conseguenti conflitti sociali e manifestazioni operaie, si sviluppò una forte reazione contro le presenze straniere. Durante il regime autoritario dell’Estado Novo, molti dei leader delle proteste, spesso immigrati, furono repressi e perseguitati. La propaganda governativa alimentò una narrativa in cui l’identità nazionale escludeva tutto ciò che fosse “altro”, favorendo atteggiamenti xenofobi che si radicarono anche nella cultura popolare.
Negli anni ’30 e ’40, mentre il calcio diventava lo sport nazionale, queste tensioni si riflettevano anche nel mondo sportivo. La Coppa del Mondo del 1938 ne è un esempio emblematico: dopo l’eliminazione del Brasile in semifinale contro l’Italia, la frustrazione collettiva si riversò persino sul cronista radiofonico Gagliano Neto, il cui nome fu beffardamente trasformato in “Italiano Nato” per sottolinearne l’origine. Vittima di ostilità e violenze verbali, la sua vicenda mostra quanto il calcio potesse essere caricato di significati nazionalisti.
Le sfide future del nuovo commissario tecnico
Il Brasile, come altri Paesi, è attraversato da venti di nazionalismo e tensioni sociali che non risparmiano nemmeno il calcio. In un contesto interno segnato da attacchi alla democrazia, pressioni economiche e divisioni ideologiche, l’avventura del tecnico italiano dovrà fare i conti non solo con il campo, ma anche con l’eredità storica e le aspettative di un popolo che ha sempre identificato la propria identità con il pallone.
Perché Ancelotti possa davvero avere successo, non basteranno le competenze tecniche: sarà fondamentale saper navigare tra queste complessità culturali e sociali che, ancora oggi, modellano il calcio brasiliano.
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